Archivi categoria: Complessità

Teoria del Caos e vivere la complessità…

La rottura del narcisismo


Fu Freud il primo (beh magari uno dei primi) a rendersi conto che la cultura occidentale ha introdotto una discontinuità nel narcismo.

E lo ho fatto molte volte con personaggi come Galileo, Copernico, Darwin, lui stesso e Nash.

E non è un caso se sono stati quasi tutti uomini di scienza.

I primi ci hanno fatto capire che la terra non è il centro del sistema solare, Darwin ci ha fatto capire che siamo animali, né più né meno degli altri e che siamo “figli” di un processo naturale chiamato selezione naturale, come tutto ciò che abita questo pianeta (e qualunque altro se mai lo scoprissimo), Freud ci ha fatto capire che non siamo neppure padroni della nostra mente, perché esiste l’inconscio composto da molte cose che non coincidono per nulla con il nostro io cosciente e che anzi, a volte ci sono del tutto aliene; Nash ci ha insegnato che il bene del singolo non è un obbiettivo furbo, paga di più cercare il bene del gruppo (grande a piacere).

E questa visione, che ha apparentemente ridotto di molto la nostra autostima, è la base su cui abbiamo prosperato: il rifiuto dei dogmi e delle posizioni aprioristiche ci hanno dato condotto ad un numero di scoperte immane che ha migliorato le nostre vite di svariati ordini di grandezza.

Abbiamo capito che non siamo nulla di speciale, ma siamo speciali perché lo abbiamo accettato, in ultima analisi è questa la supremazia culturale dell’occidente: non c’entrano nulla il consumismo o altri aspetti economici di cui tanti vanno cianciando.

Ma l’accettazione profonda di non essere nulla di speciale, di essere un dettaglio nel quadro di insieme; non a tutti, o forse dovrei dire solo a pochi, è chiaro quanto sia pervasiva questa consapevolezza, quanto influenzi il nostro approccio al mondo e quanto, contemporaneamente, sia efficae ed efficiente.

I nostri approcci sono umili, non presuppongono mai una supremazia a prioristica, non si affida a valutazioni non quantificabili, ripetibili, studiabili.

Insomma, siamo molto cauti, quasi diffidenti anche su noi stessi, e questo ci rende immensamente forti.

il pericolo dietro 1+1=2


Oggi mi sono imbattuto in una delle tante frasi ad effetto che girano per internet che più o meno recita così:

Sono in una fase della vita in cui non mi interessa parlare di argomenti inutili, per cui se mi dici che 1+1=5, ok hai ragione divertiti.

Che sembra una cosa ragionevole e di buon senso.

E però è un buon modo per farsi male.

Tutti sappiamo che 1+1=2 (normalmente è così almeno), ma non ho mai incontrato nessuno che mi venisse a dire che fa 5, salvo in contesti di matematica avanzata che adesso non ci interessano (anche se i social sono pieni di giochini del genere).

Ovviamente il senso della frase è diverso, infatti si parla di cose “inutili”, ma cosa è utile?

Se faccio un parallelo con la vita, quella di tutti i giorni, posso pensare che si intenda: “non voglio giri pindarici, voglio parlare di cose concrete e reali”.

1+1=2 è una cosa concreata e reale, penso saremo tutti d’accordo.

E però è anche semplice, quasi banale.

E qui sta il problema.

La vita non è mai semplice o banale: i populisti improntano i loro discorsi sul semplice (i discorsi di pancia), per questo sono pericolosi, perché non offrono mai soluzioni concrete: fermano un barcone perché è pieno di criminali, dicono, ma non fanno un piano di sovvenzioni per installare un sistema territoriale di allarmi domestici; non cambiano la legge sulla possibilità di visionare le telecamere; eccetera.

Non voglio proseguire parlando di politica, tanto non cambia molto, il problema vero è che non vengono offerte soluzioni, e che siamo messi talmente male che le soluzioni ci impiegherebbero 20 anni a sortire effetti…

No, voglio proseguire parlando del senso più profondo di tutta la frase; in essa traspare una sorta di delusione; forse un po’ di esperienze andate a finire male.

Ecco, per quel poco che ho capito, di solito questo succede per due ordini di motivi:

  1. troppe aspettative;
  2. poco ascolto di sé.

Le aspettative sono una brutta bestia, ne parlavo anche nell’Egoismo dell’amore; oltre ad essere una forma di maleducazione, ci fanno proiettare sull’altro i nostri desideri impedendoci di conoscerlo veramente (l’altro intendo).

Oltre al fatto che spesso i nostri desideri nascondono le nostre mancanze, per questo le cerchiamo negli altri.

E questo ci porta al secondo punto, non possiamo completarci con gli altri, dobbiamo farlo da soli e finché non siamo completi non saremo mai felici, né da soli, né con altri.

Per farlo dobbiamo farci domande, domande nuove: non funzionerà mai finché continuiamo a ripeterci quello che già sappiamo, che 1+1=2, che l’amore è semplice, che la vita è semplice, eccetera.

Non lo è, non lo è mai, cambiano le sfide, ma non l’essenza stessa della vita, che poi è anche la nostra: siamo tutto fuorché semplici!

Per questo siamo belli.

Il getto della fede


Sommario

Per crescere occorre fidarsi e assumersi il rischio di cadere….

Tu prova ad avere una fiducia nel cuore..

A fidarsi si rischia di rimanere fregati.
A non fidarsi si resta certamente fregati.

Ma la fregatura nel secondo caso (se ti fidi) è nota, confortevole, quasi rassicurante.

La fregatura nel secondo caso (sempre se  ti fidi) è che resti nel tuo brodo, che forse, a furia di starci, ti sembra anche carino un po’  come ci sembrava carino, quando stavamo nella pancia della mamma, il liquido amniotico; ecchepperò “è costituito da urina e dalle secrezioni del tratto bronchiale e nasale del feto”.

Quindi: Fidatevi!

E qui, mi potreste però chiedere: “Sì ma di chi?” e soprattutto: “mattuttifidi?”

  1. alla prima:  Delle persone (giuste)!
  2. alla seconda: Ovviamente poco, che non sono mica meglio dell’altri io, ma ho avuto una certe dose di fortuna.

Ci sono state, infatti, persone che si sono fidate di me; perché lo abbiano fatto e se io rientrassi nelle persone giuste non mi è dato saperlo (ma suppongo abbia agito di più la loro disperata follia che altre mie supposte doti1).

Comunque, il fatto interessante è che ha funzionato, al crescere della fiducia posso testimoniare (in alcuni casi anche documentare) crebbe pure il benessere: le difficoltà sono diventate opportunità, i problemi successi, rospi principi.. ehm.. vabbeh non esageriamo.

Quindi fidatevi!…ehm.. volevo dire..

Quindi Fidiamoci!!! Tanto prima o poi cadremo lo stesso… almeno cadiamo perché abbiamo provato a fare qualcosa di buono!

!!! AVVERTENZA2 !!!

L’amore implica e necessita della fiducia (quasi la fede).

La fiducia non implica né necessita dell’amore, quindi non fate confusione.

Che già si prende per amore tanta roba che amore non è (tipo il sesso)! Essì lo so che questa confusione in fondo sarebbe la più comprensibile. In ogni caso l’amore è un’altra cosa.

Credo di aver scritto un numero spropositato di volte sull’argomento e quindi ora ve lo risparmio 😀

P.S. Ma di chi?

Alcuni attenti e delicati lettori mi hanno fatto notare che non ho dato risposta esaustiva alla prima domanda.

Cioè chi sono le persone giuste?

A questa domanda non è facile dare risposta, potrei dire che si dovrebbe avvertire una certa risonanza interiore, però in soldoni non ho una risposta chiara e inequivocabile.

L’unica cosa che mi sento di aggiungere è: attenzione a non farvi fregare dalla paura.

Spesso non ascoltiamo questa risonanza ma la paura di farci male, fino a che il bisogno di fidarci supera la paura e a quel punto finisci che ti fidi del primo che capita… e ovviamente ci sbatti il grugno.


  1. che in quanto supposte…..
  2. Volevo aggiungere “vaginale” (ispirandomi a Vagi) perché sembra una tendenza molto più femminile che maschile… epperché faceva figo citarla che mi fa sempre ammazzare dal ridere!.

Un esempio di complessità


Una delle più belle metafore per spiegare le differenze tra semplice, complicato e complesso è la seguente.

Vi viene assegnato il compito di misurare con il vostro altimetro l’altezza della cima più alta nella vostra zona di riferimento.

Caso banale

La vostra zona ha un unico monte solitario, voi salite in cima e misurate.

In altri ambiti si chiama anche:

  • caso limite;
  • caso degenere;
  • caso base.

È un caso interessante perché spesso mostra un esempio talmente semplificato che quasi non si riconduce allo scenario generale e spesso è il primo che si intuisce in maniera empirica.

Caso semplice

Ci sono alcuni monti, non molti, ripetete l’approccio del caso banale per ogni monte e comunicate il più alto.

Caso difficile

C’è una intera catena montuosa, occorre valutarli tutti, ma vi mettete con calma disegnate una mappa e li fate tutti.

Caso complicato

Come il caso precedente.

Utilizzate una planimetria satellitare per farvi un’idea della mappa.

Sfruttate le conoscenze trigonometriche e ottiche per approssimare l’altezza di un monte dalla sua ombra tenendo conto degli errori dovuti alla rifrazione, e selezionate i più papabili.

Salite sul primo di questi e lo misurate.

Lasciate una notte in osservazione un telemetro laser di grande precisione posizionate perpendicolare alla vetta del monte e cercate di escludere i monti evidentemente più bassi.

Rifate il test per quei pochi rimasti.

Caso Complesso

La terra si muove mentre voi valutate, per cui il salire su un monte lo potrebbe abbassare.

Il mondo che volete misurare e per cui trarre una conclusione muta in funzione di voi, o di altri fenomeni su cui non avete il controllo.

Casi reali

Di solito a questo punto si è capito i differenti ordini di grandezza, ma si osserva che nessuno di solito si trova in situazioni come quelle descritte nell’ultimo caso.

Ma solo perché l’esempio è iperbolico per dare il senso delle cose; nella vita reale, al contrario, è molto facile muoversi in uno scenario complesso senza nemmeno rendersene conto.

Per esempio un problema difficile o complicato può diventare complesso se il tempo che ci viene dato a disposizione è troppo poco; cioè di molto inferiore al tempo necessario per ricercare e applicare la soluzione corretta.

Si introduce qui il tema di efficacia ed efficienza.

Una soluzione efficace è la miglior soluzione possibile.

Una soluzione efficiente è una soluzione, anche parziale, che si raggiunge con il minor dispiego di risorse, tra cui il tempo.

Quindi, nella vita reale, se il problema fosse quello dello scenario difficile vi verrebbe dato l’incarico di misurare il monte più altro della catena montuosa dandovi al massimo un giorno per fare tutto.

A questo punto ogni scelta che farete, compreso da che monte partire, ne escluderà altre perché non avrete il tempo per valutare tutte le casistiche.

Per esempio, si possono utilizzare approcci che stimino le possibili soluzioni migliori per poi verificare solo quelle che per cui si ha tempo; per una buona stima occorre però anche sapere (e comprendere) il motivo per cui si effettua questo compito, è diverso cercare la vetta più alta per una gara di alpinismo piuttosto che per comprendere i movimenti del vento.

Conclusioni

Qualunque dimensione venga fortemente ristretta (soldi, tempo, spazio personale) può far schizzare il problema da una dimensione controllabile ad una apparentemente incontrollabile.

Curiosità

La stima della vetta più alta è una necessità che si è manifestata per i lander che sbarcano dalla navicella e non possono mappare tutto il territorio per cui devono approssimare, e farlo bene.

Salvarsi da Gaia


Da parecchio stiamo dicendo (in parte per fortuna) che dobbiamo salvare il pianeta, ma è falso.

La realtà è che dobbiamo salvarci dal pianeta, perché tutte le prove empiriche che abbiamo ci dicono che Gaia (come l’hanno chiamata ironicamente gli scettici) se insistiamo a dargli problemi, lei ci distruggerà. Molto semplicemente.

Prima che sull’ossigeno la vita si basava sul metano o l’ammoniaca e lei viveva bene lo stesso.

Quindi il nostro scopo dovrebbe essere quello di vivere armonicamente con lei per evitare che ci distrugga come un virus e magari imparare a proteggerla dagli eventi esterni.

Non vado oltre in spiegazioni scientifiche che risulterebbero comunque incomplete.

P.S.
La riflessione me l’ha suggerita un passaggio de “Il vincitore è solo” di Paulo Cohelo.

L’adulto è competente (rivisto)


English Version

Sommario

Siamo esseri sociali programmati per collaborale a livello emotivo, più in profondità di quanto siamo consapevoli.

Spesso anche quando sembra che l’altro ci ostacoli in realtà sta cercando di collaborare con noi, ma almeno uno di noi due ha frainteso… quasi sempre entrambi.


Cosa vuol dire collaborare

A volte capita. Ti ritrovi in una assurda situazione di conflitto, in cui non sai bene come ci sei cascato.

Ti trovi a doverti relazionare con una persona che si comporta con te in modo a dir poco discutibile; diresti appositamente per infastidirti.

Taz, il Diavolo Tasmania
Taz il Diavolo Tasmanina

Hai presente? Quando vuoi ottenere un obiettivo specifico e l’altro sembra giocare un contro di te? Come se foste avversari, anche se in teoria state dalla stessa parte?

Per il mio piacere molto personale chiamerò questo furfante: Taz.

In alcune occasioni, magari perché tu e Taz siete amici, o se c’è un terzo che potrebbe mediare tra te e Taz, in alcune occasioni, dicevo, si potresti poi scopirere che Taz non ha veramente intenzione opporsi a te.

Per esempio, Taz potrebbe continuare ad imbattersi in equivoci e malintesi, come in una grottesca commedia degli errori; ma per te questo sarà più simile ad un attaco: Taz ti prende in giro espressamente per farti del male, e dove fa più male!

Come è possibile? Cioè stiamo dicendo che lui non ha una precisa volontà di ferirti, ma colpisce in modo così accurato! C’ha un deretano che manco Bonaventura!

È possibile, ma poco probabile, per raccontartelo devo parlare al te di un’altra epoca …

Lettori, prestatemi orecchio!


Un comportamento tipico dei bambini, che potrebbe/dovrebbe rimanere in anche età adulta è la collaborazione.

Quindi vorrei parlare al tuo bambino interiore, o, per lo meno, al bambino che sei stato.

La collaborazione è un potente atteggiamento mentale perché porta facilmente ad abdicare a se stessi.

Se una persona è determinata a sostenerti, in una certa situazione può correre il rischio di dimenticare i suoi limiti e il suo benessere; cioè, si dimentica di dire “no”.

Ok, lo so che sembra essere un paradosso, ma dobbiamo capire che il nostro sistema limbico lavora per farci diventare un gruppo, o, in altre parole, lavora per trasformarci in persone collaborative.

E, attenzione, quando l’autostima1 diminuisce, aumentano i comportamenti collaborativi insani.

L’autostima può essere un freno che ci preserva (da noi stessi), se il freno non funziona correttamente possiamo perderci.

E questo non è tutto!

Torniamo a Taz.

Vuole aiutarci .. no ok, lui non sa di voler aiutare noi .. ma il suo sistema limbico sì.

Ad od ogni modo, nello sforzo di aiutarci Taz cerca di comprendere le nostre richieste, anche quelle emotive e di cui siamo meno consapevoli .

Quindi, il nostro prode Taz, Taz il nostro marrano, cerca il modo migliore per interpretare la nostra volontà.

E ora … Colpo di scena!

Taz usa il suo sistema limbico per comprenderci, il sistema limbico è emotivo ed un sistema che lavoro più in profondità della nostra mente logica.

Così, quando aumenta il comportamento collaborativo, aumenta anche l’utilizzo del sistema limbico che, ovviamente, meglio comprendere un altro sistema limbico.

Quindi Taz non capisce la nostra volontà, ma il nostro bisogno o qualcosa di simile.

In pratica, si dice: “Voglio una mela”, mentre è necessario una banana, ma Taz capisce che abbiamo bisogno di una pera (come una mela oblunga …)

Uff! Che dici? facciamo una macedonia di frutta?


Ok, ok, andiamo avanti.

Per noi non ottenere la mela si esprime in frustrazione e delusione, ovviamente.

Taz, d’altro canto, cerca di darci una mela, ma come lui immagina sia la mela, che è più simile a una pera … Non funzionerà mai bene.

Ok, pera e mela sono abbastanza simili … ma cosa succede se Taz davvero capisce che abbiamo bisogno di una banana?

Manteniamo la calma. Che cosa potrebbe accadere? Solo un po’ di fastidio, ma non paragonabile alla grande opportunità di ottenere esattamente quello che ci serve!!!

Solo un po’ fastidio…

Taz sta comprendendo un po’ di noi … una piccola parte di noi che noi non conosciamo…

… ops …

Apriti cielo!!! Invochiamo fulmini dal cielo lanciando strali di fuoco! Alastor! Vieni a me e annientae i miei ignobili nemici!!”

Come osa invadere il nostro interiore e pensare di capire qualcosa di noi?

Se ho detto: “Voglio una mela”, Voglio una mela! Una mela gialla e lungo!

appunt … Ok è chiaro suppongo.

Durante la nostra prestazione incredibile, Taz “dimentica” di inviarci a quel paese al momento opporutno, perché collabora ancora con noi2.

Naturalmente, mela e banana sono un esempio. Nella vita reale le cose non sono così ovviamente diverse; nella realtà potrebbero chiamarsi efficacia ed efficienza o produttività e innovazione.

Esistono due tipi di collaborazione: una omologante (gli altri là imita) e un’altra deviante (l’altro ci contrasta in maniera indiretta).
Per noi, il secondo sembrerà un tentativo deliberato di infastidirci (come se le persone non avessero niente di meglio da fare).

Questo meccanismo è estremamente chiaro nei bambini3, negli adulti è più mascherato, ma penso che persista in molte situazioni, anche se, ovviamente, non in maniera così ovvia.

La mia speranza è che questo particolare “luce” possa essere di aiuto per risolvere alcuni conflitti.

Ricordate, cioè, che può essere difficile trovare il modo giusto per lavorare con noi e le nostre richieste contraddittorie, e che più una persona vuole collaborare con noi più può andare oltre le nostre parole.

Se lo ricordiamo potremmo iniziare a fare qualcosa di concreto per cambiare le cose:

Fai pace con te stesso, scusati, e chiedi qualcosa di più semplice, chiaro e veramente voluto!

Concludendo:

  1. l’altro spesso vuole collaborare;
  2. a volte non sa come fare;
  3. potremmo essere noi a rendergli difficile il compito;
  4. fare e pretendere richieste chiare e veramente volute;
  5. è normale inciampare, non facciamola lunga.

Note

  1. Il titolo è un omaggio all’ottimo “Il bambino è competente” di Jasper Juul. In questo libro emergono con nitidezza i concetti di Autostima, il bambino omologante e deviante, e come i bambini collaborino.
  2. Con Autostima si intende la capacità di apprezzare se stessi, a prescindere da quanto si sappia fare, si conosca, si possieda, a prescindere da qualunque cosa sia acquisibile successivamente. Le persone che hanno una forte autostima si muovono in maniera molto diversa da chi ne ha una bassa, e non si può accrescere durante la vita: si sviluppa entro gli otto anni e successivamente al massimo la si può sostenere con altre iniziative ma non coltivare. Poiché il grado di autostima è un dato pressoché immutabile diventa importantissimo avere consapevolezza della propria e altrui autostima per imparare a relazionarsi in maniera proficua.
  3. Anche l’altra parte ha naturalmente delle lamentele sul nostro comportamento. Se noi fossimo i collaboranti e non i richiedenti, la cosa migliore che potremmo fare è dire “no, così mi fai male”.
  4. Solitamente i primogeniti assumono un umore tipico dei genitori, soprattutto se questi sono in difficoltà, li stanno aiutando. I secondogeniti è più facile che diventino capricciosi e insofferenti, anche loro stanno collaborando ma al contrario urlando a gran voce la parte dei genitori che rimane silente.

Credo che questi concetti siano indispensabili per una crescita personale, ma penso che non potrei fare meglio del “libro e lì rimando gli interessati.

Il giorno della memoria? No del peccato originale.


A integrazione dei compiti a Lei (Reinhard Heydrich, ndr) già assegnati con decreto del 24 gennaio 1939 di portare la questione ebraica ad una opportuna soluzione in forma di emigrazione o evacuazione il più possibile adeguata alle circostanze attuali, con la presente La incarico di curare tutti i preparativi necessari sotto il profilo organizzativo, pratico e materiale per una soluzione totale [Gesamtlösung] della questione ebraica nei territori sotto l’influenza tedesca. Nella misura in cui vengano toccate le competenze di altre autorità centrali, queste devono essere cointeressate. La incarico inoltre di presentarmi quanto prima un progetto complessivo dei provvedimenti preliminari organizzativi, pratici e materiali per l’attuazione dell’auspicata soluzione finale [Endlösung ] della questione ebraica

31 luglio 1941, Hermann Göring

Prendo spunto da questa inquietante lettera per convidividere alcune riflessioni, che, spero, vi inducano a spostare lo sguardo e a “vedere” una realtà diversa, più poliedrica, che spesso non è così ovvia come ce la raccontiamo.

Fissiamo alcuni punti:

  1. la soluzione finale, auspicata da Göring contro gli ebrei non è nuova (cioè l’emigrazione forzata), altri prima dei tedeschi l’hanno realizzata, per esempio in Spagna;
  2. gli ebrei hanno fatto poco per farsi amare dagli altri popoli, credo si possa evincere da diversi annedoti;
  3. dall’opzione emigrazione forzata a sterminio rientrano diverse motivazioni, alcune folli altre brutalmente pratiche;
  4. in Germania, c’era un diffuso sentimento ostile verso gli ebrei da circa un secolo;
  5. ci sono mille altre cose, ma per il mio pensiero può bastare.

I gerarchi che presero questa decisione erano tra l’arido e il pazzo e altre caratteristiche che oggi li renderebbero elegibili di ammissione ad istituto di salute mentale.

Comunque il resto delle persone, schiacciate dalla crisi economica e umiliate, erano furenti contro gli Ebrei da circa un secolo, e magari non disprezzerebbero un allontanamento di questa popolo che non si sente tedesco o che i tedeschi non sentono tedesco.

Ma, insomma, il resto delle persone, sono persone normali, più o meno come noi, persone che fanno la fila per prendere il pane, che se la sbrigano tra le noie della burocrazia ecc.

Eppure queste persone normali (comprese madri di famiglia) diventarono gli esecutori materiali dell’olocausto.

Stanford Prison Experiment (thanks to Philpi Zimbardo)
Stanford Prison Experiment (thanks to Philpi Zimbardo)

Successivamente abbiamo visto ripetersi altri Olocausti con le stesse dinamiche.

Gli piscologi sociali hanno poi fatto alcuni test, tra cui ricordiamo quello di Stanford; in breve riassumo dicnedo che dimostra come basti dare il ruolo di guardia per trasformare una persona normale in un sadico picchiatore.

Da tutte queste considerazioni appare che le persone comuni, come voi, come noi, se messe in un contesto organizzato tendono a seguire le regole di questo contesto.

L’asservimento alle regole è proporzionale al potere che il contesto ha sulle persone, in altre parole al numero e pervasità delle regole stesse.

La faccio semplice prendete il vostro dolcissimo figlio, mettetelo in una burocrazia malata e violenta, dategli il ruolo di aguzzino, e il vostro dolicissimo figlio diverrà uno spietato carnefice.

Questo meccanismo ha presa su chiunque di noi, non è un’opinione, ma un fatto.

Ma abbiamo difese? Sì. Farci domande, rifiutare le scelte obbligate, non smettere mai di pensare da soli.

Ogni volta che accettiamo una regola iniqua, anche solo il fatto di pagare una tassa per un servizio che non si usa, accettare che sia normale che lo stato non si fidi di noi (e quindi occorre continuare a dimostrare mille cose), è collaborare con il mostro burocratico, che nega la vita per promuovere al perpetuazione di regole, regolamenti e cavilli che non servono a nessuno.

Smettere di pensare è il peccato originale.

Mangiare la mela? No è sbagliato.

Ma chiedere fino alla nausea perché quel frutto no?

Forse questa è la sfida per ricevere il premio della vita.

La realtà non esiste


Quello che vedi, senti e tocchi lo vedi, senti e tocchi solo tu.

Piantala di voler aver ragione.

Do: La realtà oggettiva non esiste.

A meno di non volerci intendere su cosa significa “oggettivo”.

Vedete, ogni cosa su cui ci approcciamo è filtrata dai nostri “dispositivo percettivi”, i nostri organi di senso, il nostro sistema nervale e dalla nostra esperienza.

Tali organi sono personali e unici. Anche una cosa come un colore, ognuno lo assimila in maniera differente.

Penserete che sia impazzito, lo so, ma datemi fiducia ancora per un po’… e se non la volete dare a me datela a Belinda!

Quando le ho parlato di queste cose.. beh… le è saltata la mosca al naso, ma cominciamo dall’inizio.

Era un notte buia e tempestosa, in qualche parte del mondo, da noi in Italia era una fredda mattina di dicembre, con tanto di sole e cielo terso, e lei si stava addobbando l’albero mettendoci delle rose di uno strano colore.

Belinda: non sono di uno strano colore…mai pensato di essere strana…prima di incontrare te :-)…sono rose rosso venoso!

Do: … dicevo rose di uno strano colore e spinti da un profondo desiderio, di non sappiamo bene cosa, ci siamo messi a parlare appunto del colore della rosa, che a me pareva cotta (tipo mela cotta… insomma marroncina) e a lei rosso sangue pulsante e pieno di vita che ti riempie il cuore…

E quindi le dissi, appunto , vedi “la realtà non esiste…” ok, non mi ripeto

Belinda: io qui sono subito saltata su tutte le furie: “eh No! È il linguaggio che fa in modo che la realtà che percepiamo sia raccontata in maniera diversa, ma la percezione in ognuno di noi non cambia! Un orecchio è un orecchio e la sua funzionalità è la stessa in me in te e nel resto del mondo!”

Do: notate per caso un approccio che ricordi quello linguistico?
Comunque “No, la realtà noi non la conosciamo perché la sperimentiamo con i nostri sensi, ma sono diversi uno dall’altro”.

Belinda: cioè che la mia Tromba di Eustachio è diversa e sente in maniera differente dalla tua?? che la mia pupilla mi riporta un oggetto diverso da quello che la tua riporta a te?

Do: (io delle trombe varie non ne so nulla, ma non ho voluto infierire…) E va bene, San Tommasina da Recanati!! Fai un sondaggio tra gli amici tua e vediamo quanti vedono quella rosa rossa (scusate alcune allocuzioni colloquiali e marchigiane).

Belinda: ma figurati!!

… segue inutile scambio di “complimenti” e rimbalzi per giungere alla conclusione che l’esperimento fu fatto.

Belinda: Abbiamo chiesto a 50 amici miei di definire il colore che vedevano in questa foto escluso ovviamente l’argento da me apportato artificiosamente.:

Una rosa cotta vinaccia
Una rosa cotta vinaccia

E ecco di seguito i risultati ottenuti:

  1. Rosso ( fra cui abbiamo deciso di includere: vinaccio, sangue di piccione, bordeaux, rosso venoso): 28 voti.
  2. Marrone (fra cui abbiamo deciso di includere: ruggine): 16 voti.
  3. Altro (fra cui giallo, verde, porpora): 9 voti.

Belinda: ho vinto!!!!
Ehm sì ma il risultato mi ha quantomeno sbalordita. Io davo per scontato una vittoria schiacciante del rosso “venoso” sul marrone (tipo “solo Do poteva vederla rossa perché si droga”), io lo vedo rosso e non può essere diversamente!!
Non lo riconoscevo come un colore confuso o indefinito, ma ci sono stati “troppi” marrone per decretare una vittoria netta del mio rosso, e a voler essere precisi, anche sui rossi c’è stata ampia varietà.

Il tema percezione/riproduzione linguistica di essa, ricordo fu argomento di una lezione di glottologia all’università, lezione in cui appresi che il linguaggio non influenza la percezione ma il resoconto che ne facciamo di essa nei casi però in cui ci siano dubbi sulla realtà, nei casi in cui la realtà non appaia così netta e certa.

Sembra che abbia sprecato il mio tempo in quel corso…

Do: un po’… come sempre gli esperti di una materia tendono a spiegare il mondo fenomenico attraverso il proprio campo di studi. (guarda qui come copio alla grande i libri seri!!!)

Belinda: che caz.. .ehm che cosa vorresti dire?

Do: che il tuo professore ha ragione, da un suo punto di vista, perché anche la riproduzione dell’esperienza sensoriale la trasforma staccondosi ulteriormente dalla realtà oggettiva (di cui non non sappiamo un beneamata). Hai presente i poeti? quelli che si illuminano di immenso vedono biancheggiare il mare? ecco

Belinda: ma allora come facciamo a comunicare?

Do: Beh la risposta è insita nella domanda, nel senso che noi comunichiamo tramite un linguaggio e ogni linguaggio (limitiamoci per ora a quelli umani!) è un codice convenzionale.

La maggior parte delle nostre differenze percettive vengono assorbite dalla convenzione del linguaggio, come a dire, che quando dico che una cosa è “buona” tutti mi seguite, ma nessuno di voi sa veramente cosa intendo, quando dico che ho freddo sapete che sto avendo una sensazione spiacevole dovuta ad una temperatura bassa, ma in realtà non sapete nulla su quale sia la temperatura né come si manifesta in me questo stato, ognuno di voi si immagina in che modo si sente quando ha freddo, ovviamente tutti voi conoscono persone che hanno freddo con 25 gradi e persone che hanno caldo con 10…

Belinda: Fino a qui posso anche condividere… e già mi preoccupa..

Do: Torniamo al nostro discorso sull’approssimazione, potreste anche dire: “vabbeh ma insomma va anche bene così, mica dobbiamo essere perfetti, cosa me ne può fregare di sapere esattamente come uno sente il freddo.

È una posizione legittima, in fondo mica dobbiamo proprio diventare l’altro, basta capirsi!

Ehm… ma lo sapete che anche mentre fate sesso funziona così? Mentre date un bacio, mentre scegliete inconsapevolmente su cosa dare l’accento nel parlare di una bella esperienza con il vostro partner?

Quando date una carezza, quando dite con la più completa passione “ho bisogno di te” e all’altro può arrivare “quindi stai con me solo perché ti sono utile?”

Dai ditemi che non vi è mai capitato? Ditemi che quando superate il confine della superficialità non iniziano i fraintendimenti, le difficoltà.

Ditemi che non vi è mai capitato, e poi chiedetevi però se avete mai vissuto…

Belinda: non posso certo dire di non aver mai vissuto queste percezioni divergenti…la realtà di ognuno di noi quando è filtrata dal nostro vissuto, dalla nostra anima, dai nostri sentimenti e sensibilità senza contare l’umore e la circostanza “logistica” diventano davvero un groviglio complesso, (parola che a Do piace tanto), da dipanare.

Do: quanto sei lirica…

E mettece like pure sulla versione della Belinda.

Che te ne fai di un modello?


Traccia del mio intervento a Innovation & Viability.

A belli modelli!!!!!!!

Belli i modelli!

Sono spettacolari! Li guardate, li studiate e vi si illuminano 254 lampadine e a volte se siete fortunati zompa fuori anche un genio.

Sono belli, rassicuranti, ci raccontano un mondo perfetto, che funziona, anche se sono modelli che gestiscono ecatombi varie tipo gli tsunami, disastri nucleari, elezioni anticipate, la burocrazia italiana.

Di solito un modello è fatto da una serie di processi, una serie di regole, un po’ di consigli, il tutto applicato ad un insieme di risorse.

Prendiamo quello di cui si parlerà oggi (Viable System Model).

Ci stanno 10 canali, 6 funzioni, una approfondita trattazione con tanto di consigli pratici e pure una enciclopedia clinica per diagnosticare eventuali patologie del sistema.

Cosa volete di più dalla vita?

Io di solito a questa domanda rispondo un Tucano, di 2 metri con una birra sul becco; questione di gusti suppongo.

Le risorse

I modelli si applicano alle risorse.

Le risorse sono attrezzature, materie prime, immobili, processi, gli ambienti (sì sono più di uno!) e le persone.

Le persone sono quegli affari che si muovono nell’ambiente che ospita l’azienda e tendenzialmente usano tutte le altre.

L’ho fatta semplice, non è il caso complicare in un rivolo di dettagli.

Quando si cerca di applicare un modello, questo vi dice che vi servono determinate caratteristiche, caratteristiche che devono esse contribuite dalle risorse.

Ora se ammodernare un macchinario è una questione di soldi, riscrivere un processo o trovare certe caratteristiche nelle persone, è un problema più difficile da affrontare.

Modelli, algoritmi e ricette

Io da giovane facevo il programmatore, come tanti.

Quando mi hanno spiegato cos’è un algoritmo mi hanno detto: “hai presente una ricetta di cucina?”

La ricetta è veramente un algoritmo, un algoritmo in effetti evoluto, perché prevede l’utilizzo di strumenti senzienti o intuitivi: avete presente il q.b.?

Comunque a noi interessa mantenere la metafora. Già perché i modelli sono una evoluzione degli algoritmi, o la possiamo vedere così. Qualcuno potrebbe dire che sono la rappresentazione teoretica di sistemi concreti.

Ma stiamo con i piedi per terra.

Ci interessa che, alla fine, tutto è un po’ come una ricetta di cucina.

Ecco allora se voi dovete fare una bella ricetta e non avete gli ingredienti giusti che fate?
Cambiate ricetta?
Li andate a comprare?
E se non è stagione?
E se non li trovate?
E se non ci sono di qualità dove abitate voi?

Beh qualcuno dice: cambia la ricetta.

Figo! mi studio 2000 pagine di modello e poi lo cambio perché non posso applicarlo…

c’è qualcosa che no va!

Persone → complessità → ve tocca!

Il problema è che parliamo di persone principalmente e quando si parla di roba viva abbiamo a che fare la complessità.

Non vi faccio la storia della complessità che è lunga, ma richiamo i punti essenziali:

  1. se c’è un problema è quasi sempre sistemico: non esistono pillole magiche;
  2. se devi intervenire è necessario farlo su più fronti simultaneamente;
  3. gli strumenti da utilizzare devono essere diretti, semplici e dotati di un ottimo e tempestivo principio retroattivo (come il timone);
  4. la resilienza è poca cosa confrontata con la capacità di adattamento ed evoluzione della vita;
  5. la vita senza sollecitazioni non cerca di cambiare (vedi il coccodrillo).

Ingredienti ed ortaggi

Torniamo alla nostra ricetta.

In realtà poi, spesso, mica abbiamo l’ingrediente finito, spesso invece che il pomodoro, abbiamo la pianta di pomodori e sul mercato non esiste il pomodoro che serve a noi.

Ma quelli che produciamo non ci piacciono, sanno di poco, sono troppo grossi, troppo piccoli.

Oppure vorremo un’altra qualità, ma ci conviene di più piantare una nuova pianta o fare un innesto su quella esistente?

E alla fine di tutto è veramente così indispensabile avere quel preciso tipo di pomodoro?

Beh se vogliamo utilizzare il modello, certo che sì!

Lo vogliamo?

Modello, persone, innovazione

Ammettendo di avere implementato correttamente un modello, perché questo dovrebbe portarci innovazione?

Se funziona e funziona bene perché cambiare?

E se non funziona siamo troppo presi ad inventarci regole e sovrastrutture per cercare di imbrigliarlo.

Insomma vi è chiaro che così non serve a nulla?

Allora come possiamo trarre vantaggio da un modello?
E dalle nostre risorse?
E come spingere l’innovazione?

Al di là del torto e della ragione….

…contano soltanto le persone.

Il trucco è questo.

Un modello è un modo per vedere la realtà, per leggerla, per ispirarsi, ma quando volete concretizzare vi serve guardare a quello che avete, alle persone che avete.

Capire come ottenere le caratteristiche che vi servono o come fare senza.

I modelli sono tanto alcuni più utili di altri, ma è sempre una visione soggettiva, quando si crea qualcosa, occorre accettare che la nostra immagine non coincide con quella di chi ci segue, e non importa quanto pensiamo di essere bravi a raccontarla.

Occorre invece fare pressione su pochi ideali, sui simboli vitali; quella roba che si dice in una parola e contiene un mondo.

Pensate alla colomba di Picasso.

Poi guardate le persone, cosa ci possono dare e sfruttate i loro punti di forza, smettete di dire che uno deve migliorare i suoi punti deboli.

Fa fatica! Lasciate perdere! Fatelo diventare grande nei suoi punti di forza e vedrete che troverà modo di mitigare le sue debolezze.

E l’innovazione?

Bhe sapete quali sono i tratti distintivi dell’uomo? Cosa ci distingue dagli altri animali?

Sappiamo ridere e sappiamo creare.

E cos’è la creazione se non innovazione?

E.. beh… con questi stimoli, questo rispetto, con la dignità individuale praticata in ogni momento…

Beh, con tutto questo, l’innovazione viene gratis.

Disobbedienza, Picasso e altri strumenti per la gestione del personale


Provocazioni manageriali
Provocazioni manageriali

Sono orgoglioso di ospitare, celebrare e condividere con voi un successo di nostro vulcanico connazionale.

Il suo saggio “Provocazioni manageriali” (Ed. Apogeo) è infatti stato celebrato da HR.com come uno dei saggi più letti nel 2013, così ben raccontato nell’articolo del “Corriere delle comunicazioni”.

Ballando sulle fede


Prelude

You are now entering the kingdom of Prince Royce
Who before was royalty was just one lonely voice
That from the streets of the Bronx
Rose to respresent his Dominican roots
And is now a source of pride for his elders
And an inspiration to the youth

Son las cosas pequeñas que valen y enseñan
Y donde esta el corazón es donde sera mi habitación
de mis mas lindas memorias la mas feliz eres tu
Y un espejo hecha para mi
con dulce pensar te me vas a querer
con un amor incondicional
Sabiendo que la fe

your faith keeps your dreams close to you
become addicted to your art
your goals
your passion
your rhythm
your rhyme
and you too will experience the world in my time

Savor the sweet and the sour
la vida es dulce y amarga
every experience cada momento
demuestra que nuestro tiempo es prestado
Seguir tus sueños
es el regalo mas grande que tu mismo te puedes dar
porque antes de querer te tienes que amar

you have to believe in yourself first
don’t wait for others to praise you
once you have achieve self love
you are ready for phase II

–Caridad De La Luz / La Bruja / Prince Royce

Questo testo è compreso in “Phase II” di Prince Royce, decantato dal “La Bruja” scritto da “Caridad De La Luz” in due lingue senza soluzione di continuità, con naturalezza.

E racconta da dove arriva il cantante (che potremmo saltare) ma anche e soprattutto un messaggio, semplice, diretto, profondo e infinitamente articolato inserito in un album di musica caraibica (bachate).

Un contesto in apparenza molto leggero contiene una delle più belle preghiere e ricette per imparare ad essere più uomini.

Non credo che serva una traduzione, ma vorrei soffermarmi sulla parte saltata prima, l’introduzione, quando il cantante parla di sé. (Nominandosi principe addirittura!)

Credere in se stessi, farlo nell’amore del mondo, farlo per migliorare il mondo, esercitando tutto il nostro potere, senza aver bisogno di nessuno, ma con gratitudine per tutti i doni e gli aiuti che riceviamo: il messaggio quasi tutte le religioni del mondo, dei sistemi filosofici e delle scienze moderne.

Smettiamo di dividere, dividere serve per capire un pezzo, ma poi dobbiamo riunire e puntare ad un tutto maggiore di ciò che siamo oggi.

Da Boole all’award


Sono stato nominato!!!

da Belinda e Sun, ma grazie 🙂

Il post è un esperimento, per altro che vanta una ricca storia… che oggi ho voglia di raccontarvi.

Cenni sull’origine dell’intelligenza artificiale

Tempo fa vi ho parlato della logica aristotelica o assertiva e i limiti che essa imponeva alla nostra capacità di immaginare (leggi: comprendere, ecc) il mondo.

Ebbene il fatto che il pensiero logico potesse essere rappresentato in termini matematici lo si deve a George Boole che lo dimostrò nei suoi scritti.

Siamo a intorno al 1900.

Per essere precisi, costruì un’algebra (detta booleana) che serve a rappresentare e relazionare oggetti logici (es.: “io sono un uomo).

Le algebre, per farla breve, sono dei linguaggi.

1950 circa

Claude Shannon intuì e dimostrò che le stesse operatori si applicavano ai circuiti e i commutatori, creando la teoria dell’informazione che è alla base dell’Informatica e alle scienze della comunicazione.

Da qui l’utilizzo in informatica (che usiamo tutti anche senza rendercene conto).

I cibernetici, in america, inventano il concetto di retroazione (feedback) e Von Neumann che ne faceva parte disegna il modello degli attuali computer.

In Inghilterra, il vincitore della seconda guerra mondiale (cfr.: Enigma), Alan Turing propone il suo test finalizzato a dimostrare che in un determinato contesto (a suo volta abbozzato da Cartesio) un software sufficientemente sofisticato potesse sostituirsi ad una macchina.

Partendo dal fatto che ad un questionario di domande non dipendenti cui rispondere vero o falso una macchina e un umano non sono distinguibili.

Naturalmente il contesto di riferimento è molto semplice perché essendo le domande non dipendenti non c’è possibilità di contraddizione; tuttavia, il fatto che saper riconoscere una contraddizione o un trabocchetto sia caratteristica dell’intelligenza è da dimostrare.

In ogni caso il test di Turing va proprio in questa direzione, il gioco è più articolato e introduce i trabocchetti, e nel corso degli anni è stato perfezionato, infatti l’attuale è piuttosto diverso dalla sua formulazione originale.

Forse avrete sentito che di recente un software ha avuto un buon risultato nel test di Turing.

Contemporaneamente, esiste un oggetto che si chiama Whatson… che beh… cambia i paradigmi dell’intelligenza artificiale, accedendo alle informazioni del mondo contestualizza e deduce il significato delle domande che gli vengono posto.

Ma tranquilli per i prossimi cinque anni è ancora fantascienza.

Reputo importante sottolineare come il contesto di riferimento influenzi le nostre percezioni: l’utilizzo della logica assertiva (di matrice aristotelica) ammette l’implementazione dell’algebra di Boole e fa nascere la domanda se una macchina basata su questa logica possa essere intelligente.

Se fossimo partiti (come è avvenuto in seguito) con logiche differenti non saremmo arrivati a farci quella domanda o quanto meno non in quei modi.

Volevo chiudere con una chiosa che mi sta molto a cuore, l’informatica o scienza dell’informazione centra con i computer come l’astronomia centra con i telescopi.

L’informatica studia l’informazione e la sua rappresentazione e beh.. tutto è informazione…


Premio-esperimento “Credi di avermi messo a fuoco?”

Messo a fuoco

Regole

L’esperimento consta di regole semplicissime:

  1. Utilizzare il logo
  2. Riportare le regole
  3. Scrivere dieci caratteristiche o accadimenti personali e sfidare chi legge ad indovinare se e quando si mente
  4. Nominare 10 blogger che si desiderano mettere a fuoco, comunicando loro di essere stati coinvolti siete tutti nominati, ma nominerò in particolare chi darà le risposte più… creative
  5. Pubblicare le risposte nei giorni successivi

Fattucci

  1. Pecco in tutti i 7 capitali;
  2. ho fatto Judo;
  3. mi piace molto il the verde;
  4. apprezzo la tequila;
  5. adoro il calcio;
  6. da piccolo non sapevo cosa avrei voluto fare da grande, ma volevo essere importante;
  7. ballo il fox;
  8. conosco 5 lingue straniere;
  9. faccio surf;
  10. faccio arrampicata libera anche se soffro di vertigini.

Premio curiosità Belinda’s style: Risposte


Premio curioso

Eccomi dopo il precente post di raccolta domande.

1) Hai letto l’oroscopo? Di che segno zodiacale sei? Ti piace la tua canzone di questo mese (L’isola che non c’è)?

..sì. .. mi ci ci sono ritrovatA tanto…. 😛 Cmq Leone
La canzone mi piace molto, soprattutto l’inizio, la parte finale no

2) Credi agli UFO?

Da un punto di vista strettamente letterale sì. Ci sono un sacco di oggetti di oggetti volanti non identificati.

Se parliamo di extraterrestri che ci fanno visita su astronavi più o meno verosimili non molto.

Se parliamo della vita extramondo, tendenzialmente sì.

Se parliamo che forme di vita extramondo, siano presenti su questa terra… quali sono i confini del mondo? In quante dimensioni ragioniamo? Cmq sono possibilista.

3) Secondo la tua opinione quanto può, la scienza ufficiale, dare un senso a fatti apparentemente inspiegabili (compresi i fenomeni paranormali)?

La scienza della complessità, parte poco nota e poco praticata della scienza ufficiale, già oggi ci fornisce gli strumenti per comprendere molte cose che al grande pubblico vengono descritte come inspiegabili.

Tuttavia hai usato un termine preciso: spiegare.

Non tutto (anzi ben poco) è spiegabile, tendenzialmente si possono spiegare i costrutti umani, la natura si sviluppa in maniera diversa.

Non poter spiegare, significa che per giungere alla comprensione di un fenomeno occorre sia guardare ai componenti (la spiegazione) sia al suo insieme funzionate visto come oggetto indivisibile.

Facciamo un esempio semplice: tu puoi spiegare te stesso o un tuo simile? e gli altri possono veramente comprendere il tuo sentire?

Non si può, se la comprensione reciproca è il tuo fine tu puoi cercare di mostrarti in più angolazioni e gli altri possono cercare di conoscerti in tutte queste angolazioni.

E qui mi piace sempre ricordare che amare e conoscere in ebraico sono lo stesso termine.

Torniamo a bomba.

No nessuna scienza può spiegare tutto.
Sì la scienza può portarci a comprendere tutto.

4) in che posizione. ………………preferisci m…….dormire?

mmmmmmmmmm…. di fianco…. e non dico altro 😛

Semplice, Complicato, Complesso, Caotico


Ho parlato di complessità un sacco di volte con brevi accenni, forse è giunto il momento di parlarne un po’ più diffusamente.

Parlare di Complessità è cosa che richiede molte pagine e trattati, ma cercerò di farlo con esempi e spunti.

Partiamo del titolo

Semplice: il concetto è intuitivo, ma possiamo dare approssimare dicendo che un sistema è tale se necessita di poche regole (si dice inferiori a 6).

Complicato: una ricetta, una catena di montaggio, una bicicletta, insomma tutto quello che in qualche modo ci appare smontabile e che necessita un certo numero di regole e processi da formalizzare ma che sono sufficienti alla sua sopravvivenza. Nel complicato i processi sono ripetibili e l’esperienza è un valore.
Il semplice è un caso limite di questo ambito.

Complesso: un sistema in cui la variazione dell’input crea variazione apparentemente non predicibile nell’output. Sono sistemi in cui i processi non sono ripetibili. Sono il tempo atmosferico, gli andamenti dei mercati finanziari, le emozioni, e in generale la vita. I processi non sono ripetibili, l’esperienza può essere un pericolo.

Caotico: è simile al complesso ma non c’è nessun tipo di schema derivabile, tutto è solo frutto del caso, una sequenza di tiri di dadi. Il Chaos è l’entropia cioè alla prevalenza del rumore sul messaggio… pare che l’universo non abbia molto amore per l’entropia… qualcuno sostiene che sia solo un ambito teorico.

Vi suggerisco inoltre questo breve ed incisivo post sulle differenze tra complicato e complesso dell’amico Claudio, grande conoscitore della materia.

Ma ora partiamo con un paio di spunti.

1 + 1 = 3

In contesti semplici e complicati il valore d’insieme si ottiene sommando il valore delle parti.

Nel complesso il valore dell’insieme è maggiore della somma delle sue parti.

Un po’ come la panna montata 😉

Il territorio mobile

Problema semplice: raggiungere la vetta di una montagna; con la giusta attrezzatura basta scalare.

Problema complicato: raggiungere la vetta della montagna più alta di una zona; ammettendo di avere tempo sufficiente basta scalarle tutte e misurarle.

Problema complesso: raggiungere la vetta della montagna più alta di una zona… dove che il territorio cambia con le nostre azioni; come fareste?

Non si spiegano i nodi

Il complicato si può spiegare, come una bicicletta che si smonta.

Il complesso non si può spiegare perché sono presenti intrecci e nodi (le qualità di cui sopra) che si perderebbero spiegando: provate a smontare un gatto!!!

Anche il semplice non si potrebbe spiegare… non ha parti 🙂

Etimologia

Non è l’unica ma la più accetta.

Semplice, complicato e complesso hanno la stessa radice indoeuropea Plek (parte, piega, intreccio)
Da plek derivano, in latino:

  • plicare = piegare
  • plectere = intrecciare
  • plex = parte

E quindi:

  • Da cum + plicare -> complicatus = con pieghe
  • Da cum + plectere -> complexus = con intrecci ( o nodi)
  • Da sim + plex -> simplex = senza parti, o un’unica parte

Determinismo sfocato


Le bolle sfumate - immagine presa dal web
Le bolle sfumate – immagine presa dal web

Il post è lungo…. sappiatelo!

…Ma ogni dio vive ed esiste,
finché in nome suo l’uomo agisce
finché lui l’uomo persiste.

Più o meno scrivevo così da adolescente, un dio, la rappresentazione che ne abbiamo, frutto di azioni umane.

Perché riproporlo oggi? Perché la parola crea realtà (o qualcosa che noi chiamiamo così), e spesso non ci ricordiamo che quello che percepiamo è anche frutto del verbo, il nostro.

Anche frutto; diffidiamo di qualsiasi assolutismo.

Il problema è facile da riassumere, se avessimo infinita potenzialità percettiva e di comprensione vedremmo il mondo per come è.

Essendo noi limitati ci tocca accontentarci di approssimare il mondo.

Tra le cose che influiscono in maniera rilevante, anche se variabile, ci sono le parole, che poi generano convinzioni.

Le convinzioni, generano a loro volta parole.

A complicare il tutto c’è anche il fatto che ognuno di noi pesa diversamente le cose e quindi, di fatto, la percezione di un individuo è sicuramente differente da quella di un altro; ne consegue che ognuno ha la propria realtà.

Ogni tanto sarebbe bene rimettere in discussione tutto, così giusto per il gusto di farlo, se per caso vi venisse voglia di farlo adesso, ecco potremmo partire da Aristotele.

Che centra lui? beh lui di suo nulla, era un pensatore, tant’è che si dice “Pensiero aristotelico” o “Logica aristotelica” o “Logica assertiva”.

Dopo Aristotele potremmo chiamare in causa altri due pensatori: avete mai sentito parlare di Cartesio e Galileo e del “Metodo scientifico”?

Beh insomma per farla breve, dopo qualche migliaio di anni, e un po’ di scoperte e la necessità di mondare dagli scienziati i ciarlatani ci si è inventato il metodo scientifico, che prevede, per esempio la ripetitività degli esperimenti, il che è cosa buona e giusta, o almeno sembra.

Il metodo scientifico sostiene che una la realtà deve essere: oggettiva, affidabile, verificabile e condivisibile.

Cartesio si è inventato i piani omonimi ha esteso i concetti di Galileo dando vita al razionalismo, cioè un approccio molto rigoroso e e cauto alla scoperta della realtà: se una cosa non è dimostrabile non esiste, al massimo può essere oggetto indagine sperimentale.

Non spreco altri paroloni ma provo a farvi capire con un esempio; prendete una ricetta (il più diffuso esempio di algoritmo), oltre a trovarvi le profetiche indicazioni “qb.” (Quanto Basta, che mica è proprio una roba precisa e ripetibile), a tutti voi sarà capitato di seguirle pedissequamente e ottenere un risultato molto prossimo ad un “Picasso” tridimensionale ma che poco sembra azzeccarci con l’obbiettivo dichiarato (e.g. la lasagna).

Ora i corollari del “Metodo scientifico”, in fondo dicono che se il tuo esperimento non è riuscito i casi sono 2:

  • l’esperimento originario era un falso;
  • oppure le istruzioni ricevute non erano adeguate, intendendo in questo caso che erano poche.

Se vi siete cimentati nell’arte culinaria però sapete da voi che pure mentre fate una ricetta sotto la super visione del mastro chef… beh facile che non venga.

Perché? Perché il metodo scientifico appare così inattuabile nella cucina che pure si esprime in maniera così chiara?

La risposta “perché la cucina non è una scienza esatta” merita il commento che le scienze esatte sostengono che il calabrone non possa volare per cui ce ne facciamo un po’ poco di questa chiosa.

Il problema è più sottile e sostanziale: le asserzioni sono più facilmente comprensibili, ma perdono di capacità espressiva.

Quando dico versare mezzo litro di acqua non specifico il tipo, la temperatura esatta, il modo di versarla, l’aria nella stanza, la mia temperatura corporea le fasi lunari ecc.

Il metodo scientifico sostiene che deve essere possibile esprime in maniera precisa una istruzione, ma nella realtà non lo è.

Va beh, direte voi, sarà mica che dobbiamo farci la croce? esiste l’approssimazione, si ammette cioè un errore.

Ecco, l’errore. Nella cultura (o mindset) sviluppatasi dopo l’affermarsi del metodo scientifico si è assimilato il pragmatismo assertivo e ci si è dimenticati dell’errore, per cui, inconsapevolmente siamo tutti convinti che se si dice “il libro è rosso”, vuol dire che il libro è veramente rosso, mentre al contrario più correttamente si dovrebbe intendere “il libro è rosso, salvo errore di percezione”.

Non è finita, perché la logica assertiva che sta alla base del linguaggio scientifico ammette le opposizioni (si chiama anche logica dicotomica appunto), cioè esiste una cosa e il suo contrario.

Questo aspetto è talmente radicato che ci sembra ovvio, ma non lo è, infatti questo assunto, del tutto frutto della nostra immaginazione, porta a paradossi logici, paradossi che semplicemente svaniscono se si usano logiche diverse (la paradossale, tipica orientale, o quella fuzzy sua implementazione moderna).

Non è un caso che gli orientali ragionino diversamente da noi: sono figli di una cultura che ha alla base un sistema logico diverso e un linguaggio con strutture differenti (in molti casi).

Riassuntino fino a qui: siamo imprecisi, con percezioni imprecise, ma abbiamo avuto la superbia di inventarci una mentalità che si definisce precisa.

E nell’ultimo mezzo millennio questa visione è diventata imperante in occidente, non era possibile, fino a qualche tempo fa, pensare di approcciare il mondo in maniera diversa.

Guardate che la cosa è mica facile! Comprendere tutti i risvolti di questo approccio ma vi assicuro che se vi fermate a pensare ne troverete un’infinità.

Fatto sta che, nell’ultimo secolo ci si è accorti che non funziona proprio così1.

Insomma, con buona pace di Boole, negli ultimi anni ci si è accorti che vero e falso non sono sufficienti a rappresentare il mondo (infatti si sono inventati la logica fuzzy2); una cosa è vera con probabilità x, è falsa con probabilità y e non lo sappiamo con probabilità 1-x-y.

Imparare a renderci conto che siamo limitati è il primo passo per comprendere il mondo e noi stessi, ammettendo di non poter arrivare dappertutto, che sicuramente ci sfugge qualcosa, che i cigni neri nascono perché ci sono un po’ di errori trascurati, che questi errori risuonando tra di loro creano un nuovo effetto imprevedibile ma che non lo possiamo cogliere se guardiamo una sola faccia del mondo, o se ci si dimentica che ogni faccia ha una zona di indeterminazione (o errore).

Non è bello ammettere questi nostri limiti, d’altro canto, ammetterli da un sacco di libertà in più, anche con noi stesso, ma questo è un tema ancora più strano…. 😉

…Oh già, dimenticavo… la poesia ma ogni dio ecc… alla fine di tutto un ragionamento piuttosto contorto però zompa fuori che c’è un disegno o una pulsione evolutiva alla vita dell’universo e noi ne facciamo parte… e sembra tanto il disegno di dio.. o dio stesso.. solo che ne facciamo parte quindi più o meno facciamo parte di dio o ne siamo espressione.. quindi beh… insomma crediamo di più in noi che se non il divino che è in noi sfiorisce e muore…


  1. Teorie del caos
  2. Fuzzy logic: ciò che conosciamo (cioè tutto ciò su cui possiamo provare è esprimerci) è vero con probabilità x, è falsa con probabilità y, non lo sappiamo con probabilità z; dove 1=x+z+y

L’emergenza della bellezza


La bellezza raccolta
Foto gentilmente concessa

Che cos’è la bellezza?

La domanda nasconde l’inganno.

Ci si chiede cosa sia la bellezza, dando per scontato che sia una cosa.

Una “cosa” può essere descritta per attributi statici e quindi abbastanza oggettivi, per esempio: la altezza, la lunghezza, la larghezza, il colore, il peso.

La bellezza non è però una “cosa”, viceversa è un attributo qualitativo che come tale si sostanzia nelle percezioni altrui.

Definirla di conseguenza richiede di indagare sulla configurazione emotiva dell’osservatore.

La faccio breve: indagando sulle possibili configurazioni emotive, si scopre che quelle legate alla bellezza sono sorprendentemente simili tra i possibili osservatori.

Sono configurazioni collegate a quanto l’osservato sia vitale ed incarni i principi di armonia e di tensione evolutiva tipici della natura.

La definizione, quindi, esiste ed è facile: è bello ciò che è naturalmente florido.

Purtroppo non è misurabile.

Ma chi ha mai detto che dovesse esserlo (misurabile)?

P.S.
…. per ora…. sigh… lo so che prima o poi qualcuno lo farà…

P.P.S.
Ok vaaaaa bene… c’è il rapporto aureo.. ma wikipedia sta da’n’artra parte 😛

La festa dell’invasione americana


Ok, fermi tutti! Tecnicamente non è così, lo so.

Troina, Agosto1943
Troina, Agosto1943

Sostanzialmente è così.

Lo è per diversi motivi:

  1. pensiamo che sia la festa di liberazione dal nazismo
  2. pensiamo che ci abbiano liberato gli americani
  3. il patto di guerra stretto con gli americani è pieno di vincoli sull’adozione della cultura americana (obbligo di tradurre i film, coca cola e gomma da masticare in testa)
  4. Se doveva essere la festa della decisione rivoltarsi contro il nazismo si poteva chiamare in un modo un po’ più assennato no?

Per tutti questi motivi, no, non lo voglio festeggiare.

Sono stanco di vivere in una nazione che pensa che l’eroe sia “Fratel coniglietto”, quello furbo che prende per i fondelli tutti, sono stanco di vivere in una nazione senza orgoglio, sono stanco di vivere in una nazione che vive nel passato.

Cartina sbarco americano in Sicilia 1943
Cartina sbarco americano in Sicilia 1943

Nella seconda guerra mondiale eravamo divisi, i partigiani (l’esercito italiano ad un certo punto) hanno insegnato al mondo cosa vuol dire fare guerriglia.

Negli anni sessanta abbiamo insegnato al mondo cosa vuol dire essere sostenibili.

Negli anni settanta abbiamo insegnato al mondo cosa vuol dire essere sistemici (Olivetti in testa).

Basta sproloqui senza senso, gli italiani nel mondo sono all’avanguardia, l’Italia è il fanalino di coda.

Voglio una nazione degna delle persone che la popolano.

Quelli grandi. Gli altri? Cresceranno o moriranno. Di solito tutti scelgono la prima, quindi non mi faccio problemi che non esistono.

Anche di questo sono stufo.

Ninfe e prostitute


Sommario

Le verità sono tante e non in contrapposizione, la ragione è una, falsa e violenta.

Le verità ammettono e si arricchiscono dalla differenza, la ragione vuole essere l’unica

(ri)Conoscere la verità

Verità: luci e ombre
Non tutte le verità si vedono subito

La verità ha un suo modo per farsi riconoscere, pulsa di vita, è bella, la verità, lei e le sue sorelle, beh chi un po’ di più chi un po’ di meno, ma sono comunque belle, belle di meraviglia, belle che non le vuoi più lasciare, belle che poi comprendi che se le tenessi per te solo non sarebbero più così belle, le verità.

Già perché mica esistono le verità assolute, quelle sono favole che ci hanno raccontato, ne esistono tante di verità, e la ragione sta un po’ con tutti, diffidiamo della ragione e di chi vuole averla.

creder forse di aver sette vite
quando invece col dito indicare la luna
vuole dir non averne nessuna
— A. Branduardi (Il dito e la luna)

La ragione è un po’ opportunista e va con chi urla di più, con chi picchia di più, le verità no, loro sono a prescindere, e mica con tutte puoi andarci d’accordo, anche se ti piacerebbe, lo so.

Alcune verità esclusive, quelle che le puoi incontrare solo in certi posti o in certi momenti, che ti si mostrano solo di sfuggita, quando il tuo sguardo ha traiettorie curve, ci sono anche loro, quelle per pochi, che quando le incontri sono un dono per te e per pochi altri.

Ogni dio vive ed esiste
finché in lui l’uomo persiste
— Do (in adolescenza)

E poi ci sei tu, fratello mio, che cammini per questo mondo e vuoi crescere o, come piace dire a me, evolvere, e ci sono tante voci, tante ragioni e falsità, molte lingue e verità, troppe che ci si confonde.

Allora ricorda amico mio, ricorda che le verità si fanno riconoscere, e che ce ne sono alcune più belle di altre, che sono un po’ più vere delle altre, scegli loro e fatti strada nel mondo con il calore della loro luce.

Ma non dimenticare mai: esistono anche le altre e se vedi un conflitto molto probabilmente tutti hanno ragione, e nessuno la verità.

Bocca di rosa – Fabrizio De André

Il collegamento non è banale ed è difficile da spiegare, provo ad offrirvi qualche spunto.

Bocca di Rosa è la ninfa, la verità da non trattenere, è lo sguardo amorevole.
Bocca di Rosa non ha ragione è vera.
Le comari hanno tante ragioni, ma nessuna verità.

Il diario della felicità: versione pandemica!!


L’Idea

Dopo l’articolo “Il diario della felicità: chiamata alle penne!“, mi è venuta l’idea di far diventare virale il diario della felicità (grazie Laurin42 per lo spunto!!!).

Tra qualche tempo potremmo raccogliere gli articoli per costruire un diario vero e proprio! Che ne dite?!?!?!!!

Il primo post!

Questo è il primo post di questo tipo, ed è anche la mia azione per essere felice. #DiarioDellaFelicità


Regole

Scrivere nel post #DiarioDellaFelicità (per i motori di ricerca)

Assegnare un tag o una categoria specifica (altrimenti è difficile recuperare i messaggi).

Ogni giorno scrivere tre (o almeno una) cosa che ci ha reso felici o, meglio, che abbiamo fatto per essere felice. (La cosa, pare, addestri il cervello ad essere felice.)

Linkare il primo articolo della serie degli altri blog aderenti che seguiamo direttamente (dovrebbe accadere che si generino un po’ di pingback nei commenti 😀 Se succede è una cosa buona: questo vuol dire che si sta costruendo la rete)

Chi non ha un blog scriva la sua azione nei commenti 😀


Istruzioni passo passo.

1 fare copia in colla di quanto sopra:

#DiarioDellaFelicità

[Scrivie le tue azioni i oggi]

Seguo:

Il diario della felicità: versione pandemica!!


se un altro vostro amico inizia questa attività aggiungetlo qui sotto

2 Assegnare la categoria

Pubblicare il posto sotto la categoria “Diario della Felicità”, se non l’avete createla premendo su “+ Aggiungi una nuova categoria”